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Spallanzani Science Department

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Un geologo in mezzo ai fisici

Scritto da Webmaster.

Pubblichiamo l'interessante articolo del Prof. De Filippis riguardante la sua partecipazione alla Conferenza di Fisica all'INFN di Frascati svoltasi il 4 dicembre scorso. Titolo del seminario: “Il lato oscuro dell’universo – teorie e visioni”, relatori i cosmologi Danilo Babusci e Fabio Bossi e il critico letterario Alfonso Belardinelli.

Un geologo in mezzo ai fisici

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Dissezione di un cuore bovino

Scritto da Webmaster.

Laboratorio di Biologia del Liceo Scientifico Statale Lazzaro Spallanzani Tivoli - Dissezione di un cuore bovino - Classe 5 E opzione Scienze Applicate, Prof. Luigi De Filippis.

Link al video

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Viviamo su un pianeta dinamico! Al via al Liceo Spallanzani SUBITOP, un progetto europeo per lo studio dei processi geologici e geomorfologici

Scritto da Prof. Luigi De Filippis.

Il Liceo Spallanzani, insieme al Dipartimento di Scienze (Sezione Geologia) dell’Università Roma Tre, è da qualche mese entrato a far parte di una rete di ricerca costituita da dieci università e altrettanti licei europei. Tutto ha inizio nel dicembre del 2014, quando il Dirigente Scolastico Dr.ssa Lucia Cagiola, i professori Felice De Angelis, Luigi De Filippis e Tomaso Favale vengono invitati dai professori Claudio Faccenna e Francesca Funiciello, geologi dell’Università Roma Tre, a presentare all’Unione Europea un progetto per lo studio della dinamica terrestre. Il progetto, denominato SUBITOP (Understanding subduction zone topography through modelling of coupled shallow and deep processes), tra tanti altri progetti scientifici nel 2015 risulta vincitore.

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Conferenze Spallanzani 2015/16

Scritto da De Filippis Luigi.

Un Pianeta in Trasformazione

Il Dipartimento di Scienze del Liceo Scientifico e Linguistico Statale “Lazzaro Spallanzani” è lieto di presentare un ciclo di conferenze che spazierà dalla Teoria della Tettonica delle Placche, con un’interpretazione integrata dei processi geodinamici globali, fino all’Evoluzione Animale e Umana, esplicatesi attraverso un lungo viaggio su quei continenti che, pur muovendosi lentamente ma continuamente, hanno generato habitat e opportunità per tutte le specie viventi. Verrà inoltre spiegata l’importanza dell’acqua come risorsa per la vita ma anche come fonte di rischio.

Geologia, Paleontologia e Paleoantropologia, seppur Scienze che studiano il passato e il presente del Pianeta Terra, in perenne trasformazione, ci aiuteranno a comprenderne meglio il futuro.

Lectiones Magistrales

25.11.2015
15.30-17.30 “Noi e i rischi geologici”
Prof. Gabriele Scarascia Mugnozza - Dipartimento di Scienze della Terra,
Sapienza Università di Roma

09.12.2015
15.30-17.30 “I grandi vertebrati della Campagna Romana”
Prof. Carmelo Petronio - Dipartimento di Scienze della Terra,
Sapienza Università di Roma

20.01.2016
15.30-17.30 “La geodinamica terrestre e i terremoti”
Prof. Carlo Doglioni - Dipartimento di Scienze della Terra,
Sapienza Università di Roma

27.01.2016
15.30-17.30 “Sulle tracce dell'evoluzione umana”
Prof. Giorgio Manzi - Dipartimento di Biologia Ambientale,
Sapienza Università di Roma

10.02.2016
15.30-17.30 “Dove trova lo spazio l’acqua nel sottosuolo?” Prof. Roberto Mazza - Dipartimento di Scienze,
Università Roma Tre

Le conferenze, la cui partecipazione è gratuita, si svolgeranno presso l’Aula Magna del Liceo Spallanzani e sono aperte, oltre che agli studenti del Liceo, anche agli alunni degli altri Istituti e al pubblico.

Inoltre agli studenti del triennio del nostro Liceo, iscritti regolarmente alle Conferenze, verrà consegnato un attestato con la firma del docente universitario che ha tenuto la lectio magistralis

Agli studenti del triennio che avranno seguito tutte le conferenze verranno attribuiti i crediti formativi.

Scarica qui il Manifesto delle conferenze

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Scienze, Matematica e Fisica a convegno a Rovereto

Scritto da De Filippis Luigi.

Nei giorni 1-3 ottobre presso la sede di Trentino Sviluppo a Rovereto (Trento) si è tenuto un convegno organizzato dalla Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e la Valutazione del Sistema Nazionale di Istruzione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) dal titolo “Problem posing: un approccio costruttivista alla Matematica, alla Fisica e alle Scienze”. L’obiettivo principale delle tre giornate di seminari e lavori di gruppo, in modalità di full-immersion, era quello di incentivare l’acquisizione da parte dei docenti dei licei scientifici con l’opzione Scienze Applicate delle competenze relative al metodo del Problem Posing and Solving nell’insegnamento delle discipline matematico-scientifiche, anche in vista dei nuovi esami di stato che prevedono l’inserimento della Fisica e delle Scienze tra le seconde prove scritte. Il primo giorno i lavori sono stati aperti da un Seminario Scientifico Nazionale con il contributo del Museo Civico di Rovereto, del Dipartimento di Scienze dell’Università di Roma Tre, del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, dell’Accademia delle Scienze di Torino e con il supporto logistico dell’Azienda di Promozione Turistica di Rovereto e Vallagarina. Il programma del secondo e terzo giorno ha previsto invece lavori di gruppo per l’ideazione di “problemi” in contesti di realtà nel settore matematico-scientifico. Il Liceo Scientifico Statale “Lazzaro Spallanzani” di Tivoli è stato rappresentato da tre docenti di Scienze, i professori Felice De Angelis, Luigi De Filippis e Tomaso Favale, i quali oltre a partecipare al seminario hanno attivamente contribuito, quali esperti di Geologia, al gruppo di lavoro delle Scienze della Terra con una proposta dal titolo “Acqua su Marte”, lavorando fianco a fianco con i docenti del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre, i professori Roberto Mazza (docente di Idrogeologia) e Francesca Cifelli (docente di Geologia). All’inizio dei lavori il dirigente scolastico Anna Brancaccio, chairperson del convegno, nonché responsabile della piattaforma nazionale per le Scienze Applicate (http://ls-osa.uniroma3.it), ha comunicato i nominativi dei tutor dei vari gruppi di lavoro (Matematica, Fisica, Scienze della Terra, Chimica e Biologia) individuati dal Miur. Per le Scienze della Terra è stato nominato il professor Luigi De Filippis del Liceo Spallanzani. L’attività dei tutor non si easurisce con il convegno di Rovereto, proseguirà infatti con il ruolo di moderatori nazionali della suddetta piattaforma, dove saranno caricati, discussi, migliorati e ottimizzati i lavori proposti dai singoli gruppi, al fine di creare una vasta banca dati utile all’innovazione e all’aggiornamento in chiave Europea dell’insegnamento delle discipline matematico-scientifiche nella scuola italiana.

Il Dipartimento di Scienze del Liceo Spallanzani

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  Il gruppo di lavoro delle Scienze della Terra (foto Prof. Felice De Angelis).

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Siccar Point (Scozia), il più famoso sito geologico al mondo

Scritto da De Filippis Luigi.

Un breve video che illustra il sito geologico di Siccar Point (Scozia), dove James Hutton gettò le basi della moderna Geologia Stratigrafica.

La stratigrafia

Discordanze e lacune

Fenomeni come quelli sopra descritti nel precedente video lasciano tracce vistose nella successione delle rocce. Il primo a rendersene conto è stato, verso la fine del Settecento, il geologo James Hutton, l’iniziatore della Geologia moderna, che riuscì a interpretare correttamente la storia geologica di Siccar Point, una località lungo la costa scozzese del Mare del Nord (figura 1).

Figura 1

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Figura 1.  La discordanza angolare di Siccar Point, in Scozia.
Strati di arenarie rosse del periodo Devoniano superiore (circa 370 milioni di anni fa), leggermente inclinate, giacciono in discordanza angolare sopra argilliti e arenarie del periodo Siluriano (tra 400 e 440 milioni di anni fa), molto inclinate. La serie di disegni sotto riportati riassume in modo schematico la successione di eventi che hanno dato origine alla discordanza. Si tenga presente che, nel caso generale, i sedimenti di ambiente continentale poggiati sulla superficie di erosione sono seguiti da sedimenti marini, a causa del ritorno del mare sulla terraferma (ingressione)
.

Hutton riconobbe che gli strati inferiori si erano formati in mare, dato che contenevano dei fossili caratteristici. In accordo con il principio di orizzontalità originaria, essi dovevano essersi formati come strati orizzontali. Infine, per il principio di sovrapposizione, Hutton concluse che quegli strati erano i più antichi della serie stratigrafica. Successivamente, gli stessi strati erano stati sollevati e deformati fino a emergere e assumere la giacitura quasi verticale che mostrano oggi. In seguito l’area era stata quasi del tutto spianata dagli agenti erosivi (fiumi), finché sulla superficie irregolare dovuta all’erosione si erano accumulati strati di nuove rocce sedimentarie. Queste nuove rocce appartenevano a una facies continentale: un ambiente arido costellato di lagune.
Nel caso descritto, la successione di eventi ha fatto sì che gli strati più antichi e quelli più recenti che li ricoprono mostrino giaciture diverse . Tale aspetto «geometrico» è descritto come discordanza angolare.
Una discordanza angolare è, in genere, facile da riconoscere e rappresenta un potente strumento di indagine. Nella storia geologica di qualunque regione, essa mette in luce che nel passato quella regione è stata sollevata e deformata fino a diventare una zona emersa, in genere sotto forma di catena montuosa; è stata poi erosa fino ad essere quasi spianata: infine, dopo che qua e là si sono formati nuovi depositi continentali, sull’antica superficie spianata è tornato il mare (ingressione) e si sono accumulati nuovi sedimenti: prima neritici, poi, con il tempo, pelagici. È possibile anche riscontrare una discordanza semplice, nella quale gli strati rimangono paralleli. Nel caso in cui i movimenti che interessano un’area avvengano secondo la verticale, gli strati già deposti si mantengono, infatti, orizzontali (figura 2).

Figura 2

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Figura 2.  Come si può formare una discordanza semplice.
Le due fasi di sedimentazione marina (1 e 4) sono separate da una fase di deformazione che fa sollevare gli strati già formati mantenendoli quasi orizzontali (2), mentre l’erosione spiana le nuove terre emerse (3), per cui la giacitura della superficie sulla quale il mare può eventualmente tornare ad avanzare coincide in pratica con la giacitura degli strati (4).

In entrambi i casi di discordanza, per un certo intervallo di tempo si è avuta erosione e non si sono deposte nuove rocce: questi fenomeni danno luogo a una lacuna di sedimentazione.

(fonti: http://lescienzedellospallanzanitivoli.blogspot.it/)

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Eclissi di Sole 20 marzo, la guida: come osservare il fenomeno dalle 9 alle 12

Scritto da De Filippis Luigi.

Eclissi di Sole 20 marzo, la guida: come osservare il fenomeno dalle 9 alle 12

 

L'eclissi per noi non sarà totale ma raggiungerà al massimo il 62% di copertura alle ore 10.30. L'Unione Astrofili Italiani invita le associazioni ad organizzare delle postazioni per consentire l'osservazione in sicurezza al pubblico.

Venerdì 20 marzo, proprio nel giorno dell’equinozio di primavera, si verificherà la prima delle quattro eclissi di Sole previste per quest’anno. Il fenomeno sarà osservabile in Europa, Africa settentrionale e Asia settentrionale. La fascia in cui l’eclissi sarà totale interesserà regioni remote dell’Atlantico settentrionale, le Isole Faeroer e le Isole Svalbard ma anche in Italia sarà possibile l’osservazione del fenomeno sotto forma di eclissi parziale. La magnitudine, cioè la frazione di diametro del Sole coperto dalla Luna, oscillerà da un massimo di 0,713 per un osservatore di Milano fino ad un minimo di 0,541, per un osservatore di Palermo.

Per chi volesse osservare il fenomeno da Milano, l’eclissi avrà inizio alle 9.24  ad un altezza di 29° e terminerà alle 11.44 a 43°,  raggiungendo il suo picco massimo alle 10.32 a 37°. A Roma, invece, lo spettacolo inizierà alle 9.23 ad un altezza di 32°, raggiungerà il suo massimo alle 10.31 ad un altezza di 42° e si concluderà alle 11.42 a 47°. Da Palermo l’eclissi sarà osservabile dalle 9.20 a 35°, raggiungerà il suo culmine alle 19.26 a 44° e terminerà alle 11.26 ad un’altezza di 51°.

Anche per quest’occasione, gli appassionati si organizzeranno per allestire l’osservazione e le riprese del fenomeno e l’Unione Astrofili Italiani invita tutte le associazioni ad organizzare delle postazioni per consentire l’osservazione in sicurezza al pubblico e a segnalarle  le proprie iniziative sul loro sito.

Ma prima di alzare lo sguardo al cielo vanno prese adeguate precauzioni per la vista, perché l’osservazione del Sole può essere pericolosa per l’occhio, specie nei soggetti più giovani, nei quali il cristallino è più trasparente. Occorre quindi impiegare sempre filtri certificati per l’osservazione diretta del Sole (UV ed IR): un filtro appropriato lascia passare solo lo 0,003 % della luce solare visibile e lo 0,5% della radiazione infrarossa. Il filtro più comune per l’osservazione ad occhio nudo sono gli occhiali da saldatore con indice di protezione 14 o i filtri in Mylar, composti da due sottili strati di plastica separati da un foglietto di alluminio.

Vengono proposti spesso nella forma di “occhiali da eclisse”, cioè occhiali di cartone, le cui “lenti” sono composte di filtri Mylar: sono i filtri meno cari e che possono essere utilizzati anche da chi usa un cannocchiale, un binocolo e un telescopio. Un’altra possibilità sono i filtri in vetro o in gelatina che permettono di osservare il Sole senza alcun rischio. Assomigliano ai filtri in Mylar, ma sono di migliore qualità e trasmettono un’immagine più nitida del Sole, senza la tipica colorazione blu dei primi.

Ma mentre gli appassionati si radunano con entusiasmo ed organizzano veri e propri “solar party” per l’occasione, i gestori delle reti elettriche europee potrebbero vivere l’evento con più apprensione. L’eclissi potrebbe, infatti, “mettere a rischio l’approvvigionamento energetico europeo, e la possibilità d’incidenti non può essere del tutto esclusa”, secondo un rapporto congiunto della rete europea dei gestori di sistemi di trasmissione elettrica Entsoe. Secondo gli esperti, la ragione è l’incremento del fotovoltaico negli ultimi anni in Europa, passato dallo 0,1% di tutta l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel 2002 all’attuale 10,5%. (ilfattoquotidiano.it, 16 marzo 2015)

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Applausi per il Liceo Spallanzani all'Università Roma Tre

Il 27 febbraio scorso presso la Sezione di Geologia del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre, in Largo San Leonardo Murialdo 1, si è svolta la cerimonia di consegna del Premio Renato Funiciello che quest’anno è andato ex aequo alle due migliori tesi di dottorato del XXVII ciclo.

Alla cerimonia sono stati invitati i Proff. Felice De Angelis, Luigi De Filippis e Tomaso Favale del Liceo Scientifico Statale “Lazzaro Spallanzani”. Il liceo infatti è l’unico in Italia ad avere un laboratorio scientifico interamente dedicato alle Scienze della Terra che porta il nome del compianto Prof. Renato Funiciello, uno dei più illustri geologi italiani, prematuramente scomparso nel 2009 all’età di 70 anni. Tale laboratorio, voluto dal precedente Dirigente Scolastico Prof. Carlo Mercuri, è stato completamente allestito dai suddetti docenti, tutti e tre geologi.

Era presente anche la Prof.ssa Francesca Funiciello, figlia di Renato Funiciello e anch’essa geologo strutturale presso l’Università Roma Tre.

I Proff. Claudio Faccenna e Claudia Romano hanno introdotto e coordinato gli interventi che si sono susseguiti durante la giornata.

Si è iniziato con una lectio magistralis del Prof. Carlo Laj, paleomagnetista del Dipartimento di Geoscienze della Scuola Superiore Normale di Parigi, dal titolo ”Geomagnetic field intensity changes over the last 75 ky (GLOPIS - 75) and applications in Earth Sciences”. Il prof. Laj è stato un amico fraterno del Prof. Funiciello ed insieme hanno fondato la scuola romana di paleomagnetismo. Quest’anno è stato insignito della Medaglia Arthur Holmes 2015, il massimo riconoscimento mondiale per un geoscienziato, che gli verrà consegnata il prossimo 16 aprile a Vienna, durante la riunione annuale dell’EGU (European Geosciences Union). Il Prof. Laj è anche il responsabile della sezione GIFT (Geosciences Informations for Teachers) dell’EGU, che si tiene annualmente a Vienna contemporaneamente alla riunione annuale dell’EGU stesso, a cui i tre insegnanti del Liceo Spallanzani hanno più volte partecipato, esponendo poster con le attività della scuola nel campo delle Scienze della Terra e dell’Astronomia.

I Proff. Carlo Laj e Claudio Faccenna prima della lectio magistralis

Ha accompagnato il Prof. Laj in questo suo viaggio a Roma la sua compagna di vita e di ricerche, la Prof.ssa Catherine Kissel, del Laboratorio delle Scienze del Clima e dell’Ambiente del Consiglio Nazionale delle Ricerche francese.

Al termine della bellissima lectio magistralis i candidati del XXX ciclo di dottorato hanno brevemente illustrato l’argomento delle tesi che si accingono a svolgere.

Subito dopo è stato assegnato il Premio Renato Funiciello ex aequo al Dott. Daniele Trippanera, con una tesi in vulcano-tettonica e al Dott. Luca Pandolfi, con una tesi in Paleontologia. Prima di ritirare i loro riconoscimenti i due neo dottori di ricerca hanno brillantemente esposto agli intervenuti i risultati delle loro tesi.

Il Prof. Tomaso Favale prepara il suo intervento, presentato dalla Prof.ssa Claudia Romano

Si è poi passati al Liceo Spallanzani. Il Prof. Tomaso Favale, direttore del Dipartimento di Scienze del liceo, ha illustrato, con l’ausilio di slides, le attività svolte dalla scuola nel campo delle Scienze della Terra a partire dalla fine degli anni novanta. È stato un vero successo, riscontrabile anche dal lungo applauso alla fine della presentazione e dai complimenti ricevuti dagli scienziati presenti.

La presentazione delle attività del Liceo Spallanzani

Il Prof. Tomaso Favale durante la sua illustrazione

Da sinistra: Prof. Claudio Faccenna, Prof. Luigi De Filippis, Prof.ssa Catherine Kissel, Prof. Carlo Laj, Prof. Tomaso Favale, Prof. Felice De Angelis, Prof. Anastassios Kotsakis (Paleontologo dei Vertebrati e Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali)

La giornata si è conclusa con un rinfresco offerto dal Prof. Claudio Faccenna, coordinatore della Sezione di Geologia dell’Ambiente e Geodinamica della Scuola Dottorale dell’Università Roma Tre, Direttore del LET (Laboratory of Experimental Tectonics), Medaglia Stephan Mueller all’EGU 2014 e organizzatore della cerimonia.

Complimenti allo Spallanzani!

Felice De Angelis

Luigi De Filippis

Tomaso Favale

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ANTROPOCENE. QUANDO L'UMANITA' CAMBIO' LA TERRA.

Scritto da De Filippis Luigi.

La presenza dell'uomo sul pianeta lascia tracce che potranno essere rilevate nei sedimenti e nelle rocce anche fra decine o centinaia di migliaia di anni, segni di una nuova epoca geologica chiamata Antropocene. Al centro della quale, comunque si decida di datarne l'inizio tra i tanti metodi proposti, ci sono i profondi cambiamenti ambientali dovuti all'attività degli esseri umani.

Alla fine dell'Ordoviciano, circa 440 milioni anni fa, quando il mondo fu stretto in una morsa di ghiaccio, solo poche specie di graptoliti sopravvissero all'estinzione di massa. I graptoliti, il cui nome significa 'scritti nella roccia', erano minuscoli animali che vivevano in colonie formando piccole strutture simili a tazze, note come teche.

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Graptoliti. (© DK Limited/CORBIS)

 

Ora però Zalasiewicz pensa di avere trovato il marcatore ideale anche per l'Antropocene, la nuova epoca degli esseri umani, così chiamata per l'impatto rivoluzionario di Homo sapiens sul mondo. Grazie ad alcuni isotopi insoliti, c'è una data d'inizio piuttosto precisa: il 16 luglio 1945, alle ore 5 e 29 del mattino secondo il fuso orario del deserto del New Mexico. Quello è il momento in cui gli scienziati americani hanno fatto esplodere la prima bomba atomica del mondo e in cui l'orologio degli isotopi radioattivi creati dall'uomo ha iniziato a ticchettare.Gli isotopi in questione sono il cesio 137 e il plutonio 239 e 240, che impiegheranno millenni a decadere. Non sono note fonti naturali di cesio 137. In conseguenza delle successive detonazioni di centinaia di atomiche in tutto il mondo, anche in un lontano nel futuro ci sarà in circolazione un sacco di questi isotopi. Come il meteorite che circa 65 milioni di anni fa contribuì a porre fine al Cretaceo, e forse al regno dei dinosauri, così la prima esplosione nucleare potrebbe segnare un punto di svolta nella storia della Terra per i geologi del futuro.

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Riprese in time-laps del "Trinity Test" del 16 luglio 1945, (Cortesia The Manhattan Project/DOE)

 

Biologia, magnetismo e chimica degli isotopi sono i marcatori usati di solito dai geologi per raccontare la storia dei cambiamenti avvenuti in tempi remoti, che si tratti dell'Ordoviciano o dell'Antropocene (quest'ultimo è solo un piccolo spicchio del Quaternario, che ha avuto inizio più di 2,5 milioni di anni fa). Isotopi persistenti racconteranno anche la storia di cieli pieni di anidride carbonica proveniente dai combustibili fossili. L'abitudine umana di bruciare combustibili fossili ha già fatto variare la concentrazione di CO2 atmosferica di oltre 100 parti per milione, un cambiamento di concentrazione che di solito segna la differenza tra un pianeta avvolto nel ghiaccio e i climi più temperati in cui si è sviluppata la civiltà umana.Ma non è certo l'unico cambiamento. L'azoto è stato strappato dal cielo, trasformato in alimenti vegetali e, in ultima analisi, in un numero sempre maggiore di essseri umani - un raddoppio della quantità di azoto che circola nei sistemi planetari. I sedimenti nello Sky Pond, nelle Montagne Rocciose, mostrano che intorno al 1950 l'azoto ha cominciato a inondare il lago, un evento senza precedenti da almeno 14.000 anni, e anchequesta documentazione isotopica potrebbe avere una data d'inizio precisa: il 2 luglio 1909, il giorno in cui in Germania Fritz Haber dimostrò per la prima volta come produrre ammoniaca dall'aria.In Groenlandia, la presenza di isotopi del piombo nei campioni di ghiaccio registra un inquinamento da piombo causato dalla sua fusione in Spagna circa 2000 anni fa da parte degli antichi romani. Ma i livelli di piombo decollano nel XX secolo, con l'aggiunta di questo elemento alla benzina. Più di recente, le centrali elettriche a carbone della Cina hanno iniziato a produrre inquinamento da piombo.Tuttavia, come dimostra il caso degli antichi romani, gli esseri umani hanno cominciato a lasciare un segno duraturo, anche se non in tutto il mondo, ben prima della metà del XX secolo, periodo che alcuni hanno soprannominato "grande accelerazione". "La bomba" non è dunque l'unico marcatore proposto per segnare l'inizio di questa nuova epoca.

L'alba dell'epoca dell'uomo? Il cesio e il plutonio dei test nucleari dureranno per milioni di anni, fornendo una testimonianza inscritta nella roccia di questi nuovi impatti globali. Ecco perché Zalasiewicz, come altri, pensa che l'Antropocene dovrebbe essere datato a partire da questo marcatore, di cui si può trovare la registrazione in tutto il mondo. La fine dei test può aver prodotto un calo nella curva di concentrazione di questi isotopi radioattivi, ma non ha bloccato l'impatto su scala geologica, per esempio, del plutonio prodotto dalle esplosioni atomiche sotterranee, che sono continuate fino agli anni novanta. Lo sconquasso delle rocce al di sopra del nucleo radioattivo fuso in uno di questi test può estendersi per diverse centinaia di metri, con la fusione di una quantità roccia simile a quella di un vulcano di medie dimensioni.

Visto dall'alto. Un'alternativa è far iniziare l'Antropocene dal momento in cui la gente è diventata consapevole dell'impatto globale dell'uomo, un evento spesso associato alla prima vista panoramica completa del pianeta, offerta dai satelliti successivi allo Sputnik, a cui poi si sono aggiunte le foto scattate dagli astronauti.Il dilemma del carbonio. Le future rilevazioni geologiche riveleranno un'assenza di combustibili fossili dopo il 1800 circa. Ossia da quando un nuovo motore a vapore alimentato a carbone portò a una maggiore produzione di quella roccia nera per alimentare sempre più sofisticati motori a vapore, inaugurando la Rivoluzione industriale e il problema del cambiamento climatico. I mutamenti del clima, come il passaggio dal mondo ghiacciato del Pleistocene al clima estivo dell'Olocene, hanno segnato nelle rocce diversi cambiamenti passati. Sferule magnetiche particolari che per la combustione del carbone si sono diffuse dappertutto possono essere trovate nelle torbiere dei sedimenti lacustri e fornire ai geologi del futuro una testimonianza di questa combustione del carbonio.

carbon_dioxide_concCortesia Scripps Institution of Oceanography

 

Alterazione del suolo. Un'altra proposta lega l'inizio dell'Antropocene dalla diffusa creazione di terreni modificato dall'uomo, estesa a tutto il mondo; soprannominato “archeosfera”, si tratta di un mix unico di rifiuti, antiche infrastrutture, terreni arati e altre stranezze che possono essere profonde anche decine di metri. In questo modo non si avrebbe una marcatore geologico sincronizzato per l'intero pianeta, ma l'archeosfera riflette il dato reale che neppure oggi l'Antropocene è distribuito uniformemente, senza contare che da qui a 100 milioni di anni tutto ciò apparirà comunque solo un breve istante geologico. Questa idea ha iniziato a circolare quasi un secolo fa, quando il geochimico russo Vladimir Vernadsky suggerì che le modificazioni del terreno operate dall'uomo costituivano "un fenomeno nuovo nella storia geologica."

Metano antico. Alcuni scienziati propendono per un Antropocene che risalga fino all'inizio dell'agricoltura su vasta scala, più o meno 10.000 anni fa. Il metano proveniente delle coltivazioni del riso nelle aree paludose dell'Asia potrebbe effettivamente aver iniziato a liberarsi 6000 anni fa o giù di lì ed essere in parte responsabile del perpetuarsi del clima dolce dell'Olocene. I futuri geologi troveranno nei sedimenti anche un costante passaggio dal polline di piante ad alto fusto a polline di piante erbacee, in particolare di mais, da quando l'agricoltura è diventata una diffusa attività umana. Questo potrebbe segnare il passaggio dall'Olocene all'Antropocene.

La grande morìa. Alcuni sostengono che siano le estinzioni di grandi mammiferi, rilevabili fin da 40.000 anni fa, a dover essere riconosciute  come punto di partenza di qualsiavoglia epoca segnata dall'uomo. Questo, insieme al controllo del fuoco, farebbe iniziare l'Antropocene almeno 13 mila anni fa, e forse più di 100.000 anni fa.Zalasiewicz ha dedicato qualche riflessione a ciò che rimarrà fra 10.000 anni. Le testimonianze di città, materie plastiche e milioni di miniere e  pozzi di combustibili fossili persisteranno senz'altro sotto forma di quelli che lui chiama tecnofossili. Le concentrazioni di anidride carbonica nell'atmosfera potrebbero essere ancora squilibrate a causa delle emissioni dovute a tutti i combustibili fossili bruciati anche solo negli ultimi decenni. Nel giro di un milione di anni, salvo profondi cambiamenti, il clima dovrebbe essere tornato ai suoi ritmi naturali, ma le città sepolte nei sedimenti dall'innalzamento dei mari dovrebbero essere ancora conservate, insieme ai segni delle preturbazioni antropogeniche (anthroturbation), le alterazioni indotte dall'uomo nel sottosuolo, come il plutonio prodotto dalle esplosioni sotterranee di ordigni nucleari. Queste resteranno per 10 milioni o addirittura 100 milioni di anni, o fino a quando la tettonica a placche non riporterà tutto in superficie, esponendo quegli strati alla pioggia che, molto lentamente, porterà via quei segni. Di certo, in un lontano futuro nulla di quanto fatto dall'umanità contemporanea resterà in superficie; perfino i manufatti di pietra, come le piramidi o il Mount Rushmore, saranno spazzati via, anche se nelle rocce si potranno vedere delle belle impronte di oggetti di plastica, come un disco in vinile.

Tempo profondo
La scala dei tempi geologici profondi è forse uno dei concetti scientifici più difficili da cogliere per la mente umana. Una generazione della nostra specie abbraccia circa 25 anni ed è difficile conciliare i nostri tempi con quelli di un pianeta che misura l'età in miliardi di anni.Diecimila anni è tutto ciò che separa le persone di oggi da coloro che vivevano a Catalhoyuk, una città della Turchia le cui case di mattoni di fango avevano le porte nel tetto. I suoi abitanti erano apparentemente ossessionati dai leopardi, dormivano sulle tombe dei propri antenati e, occasionalmente, ne conservavano i teschi come ricordo. In un lontano futuro qualcuno potrà capire il codice binario e gli scarabocchi in caratteri latini in cui viene proposta l'idea stessa di Antropocene? Ci è voluta la stele di Rosetta per svelare i misteri di geroglifici tracciati solo 5000 anni fa, e non siamo nemmeno vicini a comprendere i segni in nerofumo lasciati da antichi ominini centinaia di migliaia di anni fa. Un milione di anni fa, Homo sapiens non esisteva, i nostri antenati si limitavano a percorrere le savane dell'Africa, o poco più, e l'esplosione demografica umana era ancora in un lontano futuro.

Da una prospettiva geologica di lungo periodo, l'Olocene, l'epoca "completamente nuova," è già qualcosa di speciale: è l'unico intervallo estivo accordato a un'epoca da un pianeta solitamente più gelido. E' anche il più lungo periodo con un clima e un livello del mare stabili a livello globale, almeno negli ultimi 400.000 anni, in mezzo a un'altalena di glaciazioni e periodi più caldi. Ed è l'unica epoca negli ultimi 542 milioni anni che possa essere ben distinta nelle testimonianze geologiche dal "presente", grazie agli 11.703 anni di strati di ghiaccio precendenti il 2000 dopo Cristo. Strati che corrispondono a una profondità di circa 1492 metri sotto la superficie della Groenlandia e che sono caratterizzati da specifici cambiamenti isotopici.Ma la caratterizzazione attraverso i cambiamenti isotopici potrebbe rivelarsi la rovina dell'Olocene in quanto epoca, se come marcatore dell'inizio dell'Antropocene prendessimo la diffusione dell'agricoltura o della combustione. Entrambe, infatti, occupano ampia parte di quel lasso di tempo che chiamiamo Olocene. Se invece usassimo i residui di piombo, all'Olocene verrebbero strappati forse solo gli ultimi 2000 anni.L'Antropocene sarà un batter di ciglia, un'epoca o qualcosa di più? Se questa nuova epoca durerà solo pochi secoli o decenni, come si potrà trovarla fra 10.000 anni? Se il cambiamento climatico diventerà catastrofico e il mondo assisterà a un riscaldamento di 6 gradi delle temperature medie, il pianeta abbandonerà il periodo geologico in corso, noto come Quaternario e lontano successore dell'Ordoviciano, per tornare a temperature mai più osservate dal Paleogene, più di 30 milioni di anni fa. Forse, allora, l'Antropocene meriterebbe di essere riconosciuto come l'inizio di un nuovo grande periodo geologico, che si potrebbe forse chiamare Quinario o anche Antropogene. Considerando le incerte traiettorie future del cambiamento climatico, dell'aumento del livello del mare e dell'estinzione di massa, nel valutare questa nuova epoca Zalasiewicz e altri geologi per il momento preferiscono essere prudenti.Ma l'impatto umano continua a crescere, come l'ondata demografica, che ha superato i sette miliardi di persone. L'umanità civilizzata muove, tra le altre cose, circa 57 miliardi di tonnellate di roccia, sporcizia, sabbia e carbone, ossia tre volte tanto il materiale geologico mosso da tutti i fiumi del mondo. Questo corrisponde a un volume di 30 chilometri cubi spostati ogni anno dalle persone. Oppure, come Zalasiewicz ha scritto nel suo libro The Earth after Us: "è difficile, come esseri umani, guardare da una giusta prospettiva al genere umano”. L'Antropocene, come epoca geologica, mette di nuovo la gente al centro dell'azione, protagonista collettiva di un dramma planetario. Idealmente, l'Antropocene è l'epoca in cui sono i marcatori geologici a incidere se stessi nella propria eredità geologica. (La versione originale di questo articolo, di David Biello, è apparsa il 10 febbraio su scientificamerican.com. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati).

 

 

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Marte, l'acqua antica, l'idrogeno delle profondità e la vita

Scritto da De Filippis Luigi.

Il metano trovato da Curiosity sul Pianeta Rosso potrebbe essere davvero un indizio di vita, passata o presente, all'interno di Marte. E questo grazie alla recente scoperta che una parte significativa del metano presente sulla Terra è prodotto da microrganismi che vivono a grandi profondità nella crosta terrestre e che usano come fonte di energia l'idrogeno molecolare prodotto dall'interazione fra radioattività naturale e acqua (di Caleb A. Scharf)

L'eccitazione per il recente annuncio che il rover Curiosity ha rilevato un “picco” di metano atmosferico localizzato - e durato per un paio di mesi - è perfettamente giustificata. E' infatti possibile che si tratti di un autentico indizio di vita passata o presente su Marte. O meglio, di vita all'interno di Marte.La grande maggioranza di metano che troviamo sulla Terra (sia in aria sia in giacimenti sotterranei) è di origine biologica, chiaramente indicata dalla preferenza dei sistemi biologici per gli isotopi leggeri, per esempio per il carbonio-12 rispetto al carbonio-13. Questo metano è prodotto per metanogenesi, un processo metabolico che sembra essere limitato ai membri del dominio di organismi unicellulari chiamato Archaea.

C'è più di una via chimica per la produzione del metano, ma il più ovvio è la combinazione di anidride carbonica con idrogeno molecolare, ed è proprio questa la reazione sfruttata da un gran numero di Archea metanogeni. L'idrogeno molecolare è una potente fonte di energia chimica, e anche altri organismi, come i batteri solforiduttori, lo utilizzano. Ma dove trovano l'idrogeno?Una fonte è la compresenza di roccia e acqua. La radioattività che proviene dalle rocce che contengono uranio può scindere le molecole di acqua (processo di radiolisi), e il successivo processo geochimico di serpentinizzazione [processo geologico che in presenza di calore e acqua altera e trasforma alcuni tipi di rocce, NdR] crea in abbondanza anche idrogeno molecolare. I sistemi idrotermali attivi sui fondali oceanici, le cosiddette fumarole nere, sono un ambiente in cui l'idrogeno viene costantemente prodotto, e dove gli organismi metanogeni prosperano.

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Un "selfie" di Curiosity ottenuto montando diverse foto fatte dal rover a se stesso. (NASA/JPL-Caltech/MSSS)

 

Una fonte è la compresenza di roccia e acqua. La radioattività che proviene dalle rocce che contengono uranio può scindere le molecole di acqua (processo di radiolisi), e il successivo processo geochimico di serpentinizzazione [processo geologico che in presenza di calore e acqua altera e trasforma alcuni tipi di rocce, NdR] crea in abbondanza anche idrogeno molecolare. I sistemi idrotermali attivi sui fondali oceanici, le cosiddette fumarole nere, sono un ambiente in cui l'idrogeno viene costantemente prodotto, e dove gli organismi metanogeni prosperano. E per quanto riguarda le profondità dei continenti, le parti più antiche della litosfera?Le recenti scoperte in miniere sudafricane e canadesi di sacche isolate di acqua fortemente salina a straordinarie profondità – fra 1 e 2 chilometri - hanno rivelato che questi bacini hanno un'età che va dalle decine di milioni ai miliardi di anni; il record attuale è di un bacino formatosi tra 1,5 e 2,6 miliardi di anni fa. __img3__Luoghi come questi sono, in termini relativi, ricchi di energia chimica che la vita può sfruttare, e lo fa. Ma estrapolare da un produzione locale di idrogeno molecolare in quei bacini una produzione planetaria non era certo qualcosa per cui esaltarsi.Un nuovo studio condotto da Lollar, Onstott, Lacrampe-Couloumé, e Ballentine e pubblicato su “Nature”, suggerisce che le zone continentali profonde (cinque chilometri) potrebbero effettivamente essere un'importante fonte di idrogeno. In particolare, la parte più antica del sottosuolo continentale risalente al Precambriano (roccia di età superiore ai 540 milioni di anni circa), potrebbe generare l'idrogeno molecolare a una velocità dalle 40 alle 250 volte maggiore di quanto si pensasse: si tratta di una produzione pari a quella associata alla litosfera marina, che è molto più giovane. Questo materiale precambriano è presente nel 70 per cento circa della superficie continentale della Terra, e potrebbe contenere più acqua di tutti i fiumi, paludi e laghi presenti in superficie.La conclusione è che la produzione mondiale di idrogeno molecolare va rivista al rialzo e – punto critico - almeno la metà di essa proviene dall'antico e profondo sottosuolo continentale, che non appare arido e inerte ma decisamente vitale.Il collegamento fra queste scoperte e il metano su Marte è forse, oggi, una forzatura. Ma non è irragionevole supporre che l'antico sottosuolo marziano possa somigliare all'ambiente terrestre sotterraneo di origine precambriana, dove acque indisturbate si estendono in profonde fratture, e c'è un'autentica produzione di idrogeno molecolare. Se vita c'è stata o c'è, deve sicuramente aver sfruttato una fonte di energia di questo tipo, e i suoi prodotti potrebbero aver trovato la strada fino alla superficie.Se il tempo, le riserve di energia e la fortuna consentiranno a Curiosity di trovare e analizzare un altro picco di metano e i suoi rapporti isotopici, potremmo fare una valutazione critica della sua eventuale origine biochimica, disponendo di una pronta spiegazione grazie alle profondità del nostro pianeta. Su una scala molto più grande, è importante anche l'idea di una “abitabilità” puramente geofisica di esopianeti lontani, di biosfere controllate unicamente dal funzionamento interno di un mondo senza vita di superficie. Può essere un atto di estrema presunzione pensare che la biosfera visibile all'esterno della Terra sia un modello per la maggior parte della vita nell'universo.Riuscire a immaginare quali possano essere le “firme” identificabili di una vita cavernicola che proviene dal profondo potrebbe indurci a prendere in considerazione mondi che altrimenti saremmo portati a ignorare. E lo stesso si dica per una migliore comprensione della generazione dell'idrogeno molecolare nella crosta planetaria, dove gli ingredienti originali di un mondo - dalla miscela di elementi alla disponibilità di nuclei radioattivi - sono ancor più legati ai ritmi cosmici della vita e della morte delle stelle.Le tracce di metano su Marte e l'idrogeno delle profondità della Terra possono sembrare indizi tenui e indiretti, ma le loro implicazioni potrebbero essere enormi.
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Caleb Scharf è il direttore del Centro multidisciplinare di astrobiologia della Columbia University. Ha lavorato nel campo della cosmologia osservativa, dell'astronomia in raggi X e, più recentemente, dei pianeti extrasolari. E' autore di diversi libri di divulgazione, fra cui I motori della gravità. L'altra faccia dei buchi neri (Codice, Torino 2013).(La versione originale di questo articolo è stata pubblicata il 18 dicembre 2014 su scientificamerican.com. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati. )

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